mercoledì 26 novembre 2008

DESTINAZIONE MANFREDONIA

STORIA DI UNA DOMENICA VECCHIO STILE! …..Partenza fissata alle ore 10,00 tassativamente nel luogo dove Bombeo passa le sue giornate in versione tifoso d.o.c. ovvero, la madonnina. Destinazione Manfredonia (FG), tredicesima di campionato. Pranzo vigorosamente al sacco, poi strada facendo mi rendo partecipe di una bella sorpresa. Ma andiamo con ordine. Siamo dodici, come gli apostoli, ma nessuno in spirito di santità, almeno per il momento.
Dobbiamo dividerci in due tronconi; sette nella “bombmobile” e gli altri cinque nella “bellimobile”. Con me nella “bellimobile” c’è Roberto, Fabrizio della sezione Caira dei Fedayn con tanto di pezza di “Joe” al seguito, il mitico Kempes, e Muccia. Nell’altra oltre al Bombeo, ci sono i suoi due soci “in armi e in amor” Mingo e Tombino; poi Fabio detto il “Che”, Lucio, Cico e il “grande” Fernando.
Fatte le macchine si parte. La nostra auto partita dalla piazza della madonnina si incammina seguendo il pullmino delle “brigate”, l’intento era quello di andare tutti insieme, subito dopo ci accorgiamo che i ragazzi delle brigate bandiere al vento dopo un giro lungo il corso ci riportano al punto di partenza. Bella gioventù.
Ci accorgiamo subito dopo che oltre alla intemperanza propria di un’età si erano dimenticati uno dei loro a casa. E così si riparte.
L’autostrada quasi deserta è come un drago che mangia chilometri, entrati in terra di Puglia il panorama sembra cambiare, poi ti accorgi che ogni luogo ha le sue storie, ogni paesaggio morfologicamente diverso l’uno dall’altro.
In macchina ci si parla, il guardare fuori oltre i finestrini ti spinge ad avere i pensieri diversi a volte uguali. Si susseguono ricordi ed emozioni. Si raccontano storie. L’andamento non positivo della nostra tifoseria, i rimedi, le cause.
Immancabilmente i racconti confluiscono sempre sui fantastici anni ’80.
Parliamo di Joe e si raccontano aneddoti. E forse il nostro “essere ultras” è racchiuso anche in questi frangenti di vita. Poi arriva l’autogrill, il piazzale che per noi diventa il più lussuoso dei ristoranti. E qui la piacevole sorpresa.
Si apre il cofano della “bombmobile” ed ecco uscire una grande cesta di vimini, per capirci quella delle nonne; versione pellegrinaggio di Canneto. E qui il buon Mingo incomincia a ridere e ad inscenare una specie di scenetta, simula di suonare il piffero, si perché la cesta sembra quella degli incantatori di serpenti a mo di festa di San Domenico a Cucullo. Invece dalla cesta inizia ad uscire tanto ben di Dio, teglie di pasta al forno, parmigiana e dulcis in fundo tanta “chiarenza” ad addolcirci la gola. Onore alla moglie di Fernando e speranza di ritrovarci ancora per il 21 dicembre in occasione della trasferta di Barletta.
Finita l’abbuffata foto di rito e caffè propiziatore al bar dell’autogrill.
Si riparte. Usciamo dall’autostrada e ci incamminiamo per raggiungere la nostra meta. Ad un certo punto Kempes incomincia a dire di seguire la strada per San Giovanni Rotondo, da qui e per circa mezz’ora ci racconta di tutte le sue venute a Padre Pio, di ruote bucate ed altro ancora. Alla fine dell’omelia in coro esplode il classico: amen! Dopo altre peripezie e strade sbagliate arriviamo a Manfredonia.
A prima vista sembra una città nuova, bella come ogni città di mare con il suo clima e la sua solarità. Arriviamo allo stadio sotto il nostro settore posto sul lungomare. Prima di entrare ci fermiamo ad ammirare il panorama.
Il mare d’inverno conserva tutto il suo fascino, diverso dalle folle spalmate di olio nelle calde giornate d’estate. Posso fermarmi a guardarlo per ore senza stancarmi mai. Lo spettacolo per il quale siamo venuti è un altro e non il mare di Puglia. Prima di entrare altre foto per i posteri, i blù ci dicono subito che non faranno entrare niente. Mi piacerebbe pensare che hanno la stessa accortezza nel reprimere soprusi ben più grandi del vietare una bandiera allo stadio, ma in fondo se avessero avuto un cuore o un briciolo di intelligenza avrebbero fatto sicuramente un mestiere diverso. Inutile avvelenarmi più di tanto, riposo la mia pezza “vecchio fedayn” nel cofano dell’auto, pago il biglietto ed entro. È bastata una divisa e l’intelligenza di chi ci stava dentro a togliere tutta la poesia ad una giornata fantastica. “A Foggia siamo più elastici qua no”. Questa è stata la frase detta da quello che sembrava il più graduato, poi tra me e me pensando mi son detto: “figuriamoci i sottoposti che pensieri profondi avranno”. E nell’entrare mi ritornava alla mente la frase del grande Totò: “Siamo uomini o caporali?”
Occupiamo il nostro settore, l’erba sintetica del terreno e le dimensioni versione bomboniera dello stadio davano l’impressione di una partita di calcetto.
Facciamo tifo, una trentina in tutto noi ultras cassinati, tifiamo la squadra e ne sosteniamo i colori. Lo facciamo per tutta la durata della partita. Era una partita da vincere ma al triplice fischio dell’arbitro possiamo ritenerci soddisfatti del punto racimolato. Ordinatamente disordinati imbocchiamo l’uscita che ci porta fuori dallo stadio. Si riparte. Il drago ingoierà i chilometri al contrario.
La strada è sempre là, un’altra ci inghiottirà ogni stramaledetta domenica perché in fondo questa è la nostra vita. La nostra storia ultras.

Paolo dei Fedayn 1977

sabato 15 novembre 2008

NON CANCELLATE IL MIO MONDO

Non avevo ancora quattordici anni quando ho iniziato a colorare i miei primi striscioni. Non c’erano maestri a insegnarmi quello che il tempo e la strada mi hanno insegnato. È stata la mia palestra di vita. Con gli amici, compagni inseparabili lungo le vie che conducevano ai nostri sogni adolescenziali. Quattro calci per strada al pallone e quelle partite che non finivano mai, quel “super santos” che per noi era qualcosa di più di un semplice pallone. Tornavamo a casa la sera sempre sudati e neri di polvere e con le ginocchia sbucciate in pantaloni continuamente bucati. Erano gli anni della spensieratezza, delle corse a perdifiato, dei sogni. Erano gli anni dove cresceva forte l’amicizia. Grande era la passione per la nostra città. Grande l’amore per la squadra della nostra città. Erano pochi gli anni in quel pentagramma chiamato vita. Ci sentivamo invincibili di fronte al mondo, con la forza della nostra disordinata compattezza.
Quell’edificio scolastico di via Pascoli, con la sua recinzione, al centro della città. Punto del nostro universo. Alberi, verde e sassi e quella scuola al centro di quel fortino. Era il nostro west. Scavalcavamo la recinzione e lasciavamo il mondo fuori. La città con i suoi “mostri” era vinta, dimenticata. E allora giù a correre, ridere a caricarci di vita in infinite partite senza sosta.
Siamo cresciuti in quel quartiere di case popolari. Binda, Bruno Maisto, testimoni di un mondo semplice, orgoglioso e onesto sono stati tasselli essenziali nel puzzle della nostra esistenza.
In quell’angolo di vita fortificammo la fede per il Cassino. Lì iniziammo a disegnare, ad abbozzare i primi striscioni. A colorare le bandiere. Lì il nonno di Maurizio ci ricaricava le batterie d’auto per le trombe. Da lì partivamo la domenica mattina in gruppo. Non conoscevamo giornate di sole o di pioggia. Sopportavamo il peso delle batterie che a turno lungo il tragitto fino allo stadio a mano portavamo. Entravamo in quello stadio che ci ha visto crescere. Era la nostra seconda casa. Lì abbiamo conosciuto gioie e dolori profondi.
Lì portavamo i nostri primi tamburi, carcasse di bidoni di ferro. Le bacchette erano mazze di scopa. Entravamo con campanacci pesanti e rumorosi. Le bandiere erano sorrette da canne di bambù. Poi nel tempo i nostri striscioni erano più precisi. I tamburi erano quelli delle bande musicali, le aste delle bandiere tubi leggeri in plastica. Entravamo con i fumoni. Entravamo la mattina a preparare le coreografie e nelle partite importanti mangiavamo allo stadio. Era casa nostra.
Abbiamo consumato la vita su e giù, sulle gradinate di stadi di mezza Italia. Abbiamo masticato nelle domeniche di calcio il pane della nostra passione. Eravamo liberi in un mondo libero. Ci sentivamo ricchi senza una lira in tasca. Nessuno ci vietava la nostra fede. Nessuna legge offendeva i nostri ideali. Non abbiamo mai fatto del male a nessuno con gli strumenti del nostro tifo. Non hanno mai ammazzato nessuno le nostre coreografie domenicali.
Adesso ho più di quarantacinque anni, un figlio di quasi cinque anni e un’altra che tra poco di anni ne compirà diciannove. La fede incrollabile per la squadra della mia città mi spinge la domenica ancora allo stadio ma quel posto che mi ha visto crescere e regalato gioie ed emozioni incancellabili, quello stadio, quell’isola felice oggi non è più casa mia.
Affaristi senza scrupoli, faccendieri incalliti sostenuti da politicanti da strapazzo. Ladri di poesia. Mistificatori di sogni. Hanno rubato a quelle gradinate i suoni, i colori. Gli striscioni, i tamburi, le bandiere che bucavano il cielo. Hanno rubato la mia identità. Hanno mortificato la mia intelligenza. Hanno spogliato le nostre curve della parte più bella e viva; folklore, goliardia, e fantasia.
Queste leggi che ci obbligano a denunciare anche la più piccola pezza se questa reca qualche scritta. I nostri nomi negli schedari di commissariati di mezza Italia. In trasferta ci impacchettano nei pullman come sardine e lungo il tragitto sei obbligato a seguire percorsi e fermate già pianificate.
Non si scende neanche per pisciare. Leggi su leggi che umiliano e discriminano.
Ma siamo ancora qui, vivi e orgogliosi del nostro modo di essere, di fare, senza tempo, senza legge... Sono passati trent’anni. Avevo tutto e non ho più nulla.

PAOLO dei FEDAYN 1977



martedì 11 novembre 2008

DELITTO SANDRI....un anno dopo


GIUSTIZIA..... Perché crediamo ancora, che malgrado tutto questo sia ancora uno stato di diritto e non uno stato di polizia permanente. Perché restiamo fermamente convinti che la violenza sia un problema sociale e non un problema di ordine pubblico. Perché violenza genera solo violenza.

GIUSTIZIA..... Perché in una mattina di novembre un agente della polizia di stato si innalza a giudice, si apposta dove ha più visibilità, estrae il ferro e con tutta calma prende la mira e fa fuoco dall’altra parte, oltre il new jersy. In una domenica di novembre un ragazzo colpevole di essere tifoso resta sull'asfalto di un autogrill.

GIUSTIZIA..... Perché Gabriele Sandri chiede giustizia. Perché non è giusto morire. Non è giusto in quel modo. Perché un anno dopo, l’assassino è ancora libero. Perché vogliamo chiarezza. Per non dimenticare.

GIUSTIZIA..... Perché non siamo omologabili. Perché crediamo ancora che libertà e dignità siano beni da preservare. Perché leggi, decreti e decretini non potranno mai privarci della gioia e della rabbia di ritrovarci ancora qui a manifestare.

sabato 8 novembre 2008

Anagni 15 maggio 2005


Maggio del 2005, Anagni.
Altro pezzo di storia ultras cassinate.
Spareggio per andare in D contro l'Almas Roma.
Grazie alla nostra passione, alla nostra forza d'urto
portammo il Cassino al trionfo.
Questa è un altra pagina ultras memorabile.