giovedì 19 novembre 2009

Il calcio etico di Francesco De Gregori

Faccendieri senza scrupoli, affaristi senza sogni nè ideali stanno portandoci via anche l'ultimo straccio di poesia.... ridateci il nostro calcio. Ridateci i nostri tamburi, i nostri megafoni. Ridateci i nostri anni e i nostri amici che ci hanno lasciato. Ridateci il nostro mondo, la nostra libertà voi ladri di sentimenti mai vissuti, piccoli atomi di uomini annegherete nella vostra bramosia di potere e di denaro. Non saremo mai come volete voi. Sempre contro a questo calcio affaristico mafioso. Fino alla vittoria. Fino all'ultimo fedayn. Il Fondatore

"La leva calcistica della classe 1968" è uno dei gioielli incastonati nella carriera di Francesco De Gregori. Fulgido paradigma dell'essenza e della magia del calcio. L'etica incarnata dall'adolescente Nino si è dissolta. Il futuro è precario. Un racconto musicale che conferma come il calcio sia metafora della vita.

Chissà che fine ha fatto Nino? Aveva dodici anni, nel 1968. Si spolmonava, su un campo polveroso della periferia di Roma, per mettersi in luce in mezzo a tanti altri coetanei cui lo accomunavano sogni e aspirazioni
ormai evaporate. Puntava a conquistare la maglia numero sette, Nino. Nonostante quelle spalle strette che avrebbero potuto penalizzarlo.

Il ragazzo di allora oggi è un cinquantenne del quale non sappiamo più niente, dopo aver condiviso con lui le irripetibili emozioni di quella giornata e di quel provino. Ignoriamo quale sia stata la sua parabola, calcistica e non. Se a un certo punto abbia appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso passi il suo tempo a ridere dentro un bar. Se si sia mai innamorato, per dieci anni, di una donna che non ha amato mai.

E neppure lo vogliamo sapere. Perché Nino è, per quelli come noi, l’icona immortalata nel tempo di un calcio che non c’è più. Sarebbe un delitto tirarlo fuori dal dolce oblio che lo avvolge, come si fa nei lacrimevoli talk shaw che imperversano sugli schermi della mediocre televisione italiana.

Per Nino (e per noi che abbiamo vissuto le sue stesse sensazioni) ci auguriamo solo che, nel calcio e nella vita, abbia saputo continuare a mettere il cuore dentro le scarpe e correre più veloce del vento. Ogni volta che è stato necessario farlo. Che non sia diventato uno di quei tanti giocatori (uomini) che non hanno vinto mai niente nella loro carriera (vita), per lasciarsi stancamente trasportare dalle onde del destino.

Qualcuno ha scritto che Francesco De Gregori, se non fosse diventato un poeta musicista (o un musicista poeta), sarebbe stato un grande uomo di cinema. Niente di più vero. Le storie che ha saputo ideare in 35 anni di carriera, vale a dire da quando nel 1975 irruppe dentro le nostre vite con quel gioiello artistico che resta l’album “Rimmel”, sono scrigni letterari ed eleganti sceneggiature. Quella di Nino non fa eccezione. Anzi, ne rappresenta uno dei punti più alti.

Per gli innamorati del football “La leva calcistica della classe 1968” resta un capolavoro da tenere sempre a mente. Pochi hanno saputo raccontare con altrettanta semplicità e armonia i valori etici che erano il caposaldo di questo sport, la cui inarrestabile deriva è legata anche alla mediocrità di chi oggi lo dirige. E che ha finito per contaminare addetti ai lavori e tifosi, che avrebbero dovuto esserne i tutori nel corso del tempo.

Quasi tutti oggi hanno paura di tirare un calcio di rigore, in una fuga dalle responsabilità che sta mettendo a terra la precaria società globalizzata del terzo millennio. In pochi sanno ispirarsi nel calcio (nella vita) al coraggio, all’altrusimo e alla fantasia. Che dovrebbero essere il paradigma di ogni vero giocatore (e di ciascuno di noi nel suo percorso umano). La magia del calcio (della vita) si sta perdendo anche per la dissoluzione di questi valori.

Riascoltare le parole e la musica di Francesco De Gregori, nei momenti bui e in quelli solari delle nostre giornate spesso così travagliate, serve da monito per affrontare i problemi di ogni giorno con lo stesso slancio che guidava l’adolescente Nino nel 1968. Un’epoca nella quale anche partecipare a una leva di aspiranti giocatori era il modo per mettersi davvero alla prova e confrontarsi con se stessi. Riuscendo a perpetuare, nel tempo, i valori etici cui quel calcio si ispirava.

“e allora mise il cuore dentro alle scarpe e corse più veloce del vento”
Francesco De Gregori
"La leva calcistica della classe 1968”

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